Il libro è uno strumento insostituibile di comprensione del mondo in cui viviamo. Accanto alla cronaca fornita dai quotidiani, la parola fermata da un autorevole studioso ci fornisce chiavi di interpretazione e di valutazione di tutto quanto vediamo e leggiamo. In ogni caso la regola da tener presente quando abbiamo a che fare con un prodotto mediale è che prima di leggere occorre essere preparati a saper leggere, cioè conoscere i codici, le logiche produttive, i possibili usi di uno strumento di comunicazione, le ragioni del linguaggio scelto per quel prodotto. Occorre ricordare che la società complessa in cui viviamo e la conseguente espansione delle scienze sociali hanno moltiplicato i punti di vista, gli approcci e gli obiettivi che occorrerebbe ogni volta saper riconoscere e, eventualmente, criticare. Per questo il libro è un supporto alla crescita; un supporto tra gli altri, ma con un ruolo più centrale degli altri. La scuola, dal canto suo, può proporre il libro non tanto come un dovere, ma piuttosto come un’opportunità per abbracciare il mondo.
Uno degli aforismi più belli in materia di libri è quello di Daniel J. Boorstin, che fu direttore delle Library of Congress di Washington: “Puoi ottenere tutte le informazioni che vuoi dal computer, ma solo dai libri sei in grado di disegnare domande inimmaginate e di accettare risposte non volute”. È questa una breve descrizione del processo intellettuale nella sua forma migliore.
Il ruolo dei libri e della lettura
“Imparare a leggere vuol dire raggiungere una certa libertà”.
Così ha scritto Olivier Reboul, filosofo dell’educazione nel saggio I valori dell’educazione (Ancora, Milano 1995) la cui prima parte è dedicata alla lettura e alla sua importanza (il suo valore, appunto) nella nostra cultura e in quelle che l’hanno preceduta.
“Leggere vuol dire anche poter rileggere; il messaggio orale sparisce man mano che sorge, non lasciando altra possibilità che il dimenticare o l’imparare a memoria, mentre il lettore può tornare comodamente su ciò che gli è sembrato oscuro o importante […]. Leggere, infine e soprattutto, permette d’introdurre una distanza tra il conosciuto e il conoscente […]. Il testo scritto, specialmente quello stampato, sta davanti a me come un oggetto che ho la possibilità di accettare o di rifiutare, di prendere senza lasciarmi prendere”.
La lettura permette di trasportare e privatizzare l’uso della conoscenza; e il libro è il mediatore di un rapporto che coinvolge tutti i sensi, ma che resta sempre libero.
Continua Olivier Reboul: “Si legge con gli occhi, certamente, ma a condizione che l’occhio ascolti, che si affronti cioè il testo con lo stesso rispetto, con la stessa attenzione, con la stessa speranza che può avere un credente e che, come lui, ci si renda totalmente disponibili al messaggio”. Allo stesso momento “chi pubblica un lavoro si sottomette ipso facto al giudizio dei suoi lettori: egli chiede a me lettore di verificare la solidità delle sue argomentazioni, di svelare i presupposti dei suoi enunciati e il non detto di ciò che dice”.
Leggere è dunque un evento rituale, per così dire, e insieme razionale. Una dimensione non va senza l’altra: la prima ci condanna senza la seconda, la seconda ci svuota senza la prima.
La lettura è interrelazione, perché se non leggi, se non pensi la parola, lei rimane solo lettera morta; la lettura forma il modo in cui comunichiamo; comunità e comunicazione provengono dalla stessa radice latina. Non si diventa una comunità se non si ha una qualche forma di comunicazione, se non si ha un pensiero consequenziale.
Insegnare a leggere e far amare la lettura, saper unire nell’insegnamento la lezione e il libro, è una delle più alte e significative missioni della scuola.